mercoledì 1 giugno 2016

Appello contro cartolarizzazioni U.E.

Pubblichiamo l’appello di un ampio numero di studiosi, che manifestano le preoccupazioni sulle scelte che la Commissione Europea sta per fare in materia di cartolarizzazioni. La lettera è stata inviata oggi ai componenti della “Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo”. “Otto anni dopo quella che è stata probabilmente la più grande crisi finanziaria dagli anni ’30, la Commissione Europea è sul punto di rinunciare ad alcuni passi avanti della regolamentazione fatti da allora. Ci riferiamo alla parte delle Capital Markets Union (CMU) che pretende di creare un mercato europeo per le cartolarizzazioni cosiddette “semplici”, “trasparenti” e “standardizzate” (STS). Mentre anni di recessione e lenta ripresa giustificano naturalmente l’urgente ricerca di politiche che garantiscano crescita e posti di lavoro, siamo preoccupati che un nuovo mercato per le cartolarizzazioni STS non funzioni e possa invece andare contro alcune lezioni che abbiamo appreso dalla crisi. Per questa ragione ci appelliamo ai Parlamentari europei che stanno preparando la loro risposta affinché considerino accuratamente le future conseguenze di questi piani e avviino un’analisi dell’impatto futuro più+ approfondita di quanto a disposizione finora. Le nostre preoccupazioni sono quattro. Innanzitutto, a proposito degli obiettivi, non è chiaro che rilanciare le cartolarizzazioni aiuterebbe le PMI come sostiene la Commissione Europea. Anche prima della crisi il mercato dei prestiti cartolarizzati delle PMI era marginale a causa delle opacità di questi prestiti. Ciò che invece possiamo aspettarci riceva una spinta dalla proposta della Commissione sono i prestiti ipotecari cartolarizzati. Considerevoli prima della crisi, in particolare nei Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito, permise alle banche europee di attingere a mercati creditizi internazionali per destinare credito verso l’acquisto e la vendita di beni già esistenti, con conseguente bolle immobiliari e dislocazioni economiche, come ha dimostrato la ricerca della Bank of International Settlements. L’attuale piano lascia presagire una ripetizione post-crisi dello scenario pre-crisi. Più crescita “finanziarizzata” invece di vera crescita. Siamo sorpresi che la Commissione non consideri nemmeno la possibilità di nuove bolle immobiliari. Invece, ai lettori vengono forniti dati che intendono mostrare che le cartolarizzazioni europee hanno funzionato meglio di quelle statunitensi durante la crisi e perciò dovrebbero essere trattate diversamente in termini di riserve di capitali. La proposta parla di una “significativa riduzione” di requisiti patrimoniali, sia per gli acquirenti che per i venditori di cartolarizzazioni STS. Questo migliorerebbe immediatamente i profitti delle banche, ma non farebbe nulla per crescita e lavoro. In secondo luogo, non è chiaro come rilanciare le cartolarizzazioni aiuterebbe a diversificare il rischio e a rendere il sistema finanziario più stabile, come sostiene la Commissione. Gli acquirenti di queste cartolarizzazioni sono già pesantemente interconnessi con le banche atraverso i mercati dei pronti contro termine e lo saranno sempre di più attraverso il canale della cartolarizzazione. La promozione dell’intermediazione del credito non bancario, che è lo scopo ufficiale della Capital Markets Union, si riduce nei fatti a sovvenzione normativa per un sistema bancario basato sul mercato e aumenterà l’interconnessione, la prociclicità e la leva. Questa proposta non è dunque in rottura con il mondo finanziario pre-crisi, ne è una rievocazione, nonostante il linguaggio che utilizza. Cosa che ci conduce alla nostra terza preoccupazione. La descrizione giuridica del tipo di cartolarizzazioni che sarebbero idonee a ricevere il marchio di STS suggerisce che non ci sarebbe nulla di “semplice”, “trasparente” o “standardizzato”. La segmentazione è assolutamente permessa, così come i miglioramenti del credito come i credit default swap, mentre gli interest rate swap sono addirittura obbligati. Tutti e tre suggeriscono non semplicità, ma lo stesso tipo di complessità che ha colto investitori nonché regolatori di sorpresa prima della crisi. Non stupisce che gli addetti del settore abbiano espresso la propria perplessità circa il livello di complessità consentito da una proposta il cui titolo mira a semplicità, trasparenza e standardizzazione. La nostra quarta preoccupazione ha a che fare con una delle principali lezioni della crisi, vale a dire quella che per superare gli endemici conflitti di interessi, gli autori dovrebbero essere obbligati a correre più rischi. L’attuale paragrafo sulla ritenzione del rischio è allo stesso tempo troppo lassista e troppo incline all’arbitraggio. La Commissione vuole che le banche mantengano il 5% di ogni lotto nei loro bilanci. Ma non è sufficiente per affrontare in maniera significativa il conflitto di interessi. Per questa ragione, acquirenti sofisticati richiedono almeno il 20% in gioco. La Commissione non è riuscita a seguire questa best practice utilizzando l’argomento degli addetti del settore secondo cui renderebbe troppo costose le transazioni, dato che lascerebbe alle banche un alleggerimento insufficiente del capitale regolamentare. Data la dimensione della crisi, ci saremmo aspettati che la commissione si allineasse con i cittadini e il loro interesse nella stabilità finanziaria, non con le banche e la loro preferenza per gli alti profitti. Allo stesso modo, secondo la proposta attuale le banche possono scegliere le tranche che vogliono per soddisfare i requisiti di ritenzione del rischio. Ancora una volta, sembra che le preoccupazioni di redditività prevalgano su considerazioni di stabilità. Il Parlamento Europeo affronta un’importante decisione su una questione altamente tecnica e quindi difficile da politicizzare che, temiamo, sarà un primo passo di un lungo viaggio di deregolamentazione finanziaria nel quale le banche useranno tutte le loro leve sui legislatori desiderosi di aumentare produttività e lavoro. I dettagli della proposta contengono insufficienti garanzie del contrario. Per questo ci appelliamo con urgenza ai membri del Parlamento Europeo affinché avviino un’approfondita e indipendente valutazione dell’impatto per affrontare le preoccupazioni che abbiamo espresso. Quello che è in gioco è niente meno che il futuro dell’Europa. Sarà un futuro di stabilità finanziaria, anche a costo di un po’ di redditività delle banche? O sarà invece un futuro di alti profitti per le banche, al costo di consistenti rischi per i contribuenti? Membri del Parlamento Europeo, la scelta è vostra.” Firmatari: • Ewald Engelen, Professor of Financial Geography, University of Amsterdam • Stephany Griffith-Jones, Professor of Economics, Financial Markets Director, Initiative for Policy Dialogue, Columbia University • Avinash Persaud, Nonresident Senior Fellow, Peterson Institute for International Economics • Daniela Gabor, Associate Professor of Economics, UWE Bristol • Vincenzo Bavoso, Lecturer in Commercial Law, University of Manchester • Laurence Scialom, Professor of Economics, University Paris West • Nicholas Dorn, Associate Research Fellow, Institute of Advanced Legal Studies (IALS) • School of Advanced Study, University of London • Gunther Capelle-Blancard, Professor of Economics, Université Paris 1, Panthéon-Sorbonne • Philip Arestis, Professor of Economics, University of Cambridge • Anna Glasmacher, University of Amsterdam • Jakob Vestergaard, Senior Researcher, DIIS Copenhagen • Manuel Aalbers, Associate Professor of Social and Economic Geography, KU Leuven, Belgium • Malcolm Sawyer, Emeritus Professor of Economics, Leeds University • Esther Jeffers, Associate professor, Université Paris 8, France • Dominique Plihon, Emeritus Professor, University of Paris North • Andrew Baker, Reader in Political Economy, Queen’s University Belfast • Gary Dymski, Professor of Applied Economics, Leeds University Business School • Mark Sanders, Associate Professor of International Macroeconomics, Utrecht University • Irene van Staveren, Professor of Economics, Erasmus University • Denis Dupré, Professor of Finance and Ethics, University Grenoble-Alps • Paul Lagneau-Ymonet, Asociate Professor, Paris-Dauphine, PSL Research University, IRISSO • Antoine Henrot, Professor of Mathematics (including financial mathematics), Université de Lorraine, France • Bernard Paranque, Professor of Economics, Kedge Business School, Marseille, France • Ludovic Halbert, CNRS Researcher at Université Paris-Est • Vlad Mykhnenko, Lecturer in Human Geography, University of Birmingham • Nicholas Shaxson, Author, Treasure Islands • Richard Murphy, Professor of Practice in International Political Economy, City University, UK • Anne-Laure Delatte, CNRS research fellow • Wojtek Kalinowski, Co-Director, Veblen Institute for Economic Reforms • Annina Kaltenbrunner, Lecturer in the Economics of Globalisation & The International Economy, Leeds University Business School • Stefan Gärtner, Head of Research Unit Spatial Capital, Institute for Work and Technology • Prem Sikka, Professor of Accounting, University of Essex Business School • Ismail Ertürk, Senior Lecturer in Banking, The University of Manchester • Matthias Thiemann, Professor for the Sociology of Money, Banking and Finance, Goethe Universitaet Frankfurt am Main • Thomas Rixen, Professor of Public Policy, University of Bamberg • Dany Lang, Associate Professor, CEPN, University of Paris 13 • Angela Wigger, Associate Professor Global Political Economy, Radboud University, The Netherlands • David Bassens, Assistant Professor, Vrije Universiteit Brussel • Peter Dietsch, Associate Professor, Université de Montréal • Clement Fontan, Post-doctoral researcher at the Center of Ethics, University of Montreal • Adam Leaver, Professor, Alliance Manchester Business School, University of Manchester • Charles Dannreuther, School of Politics and International Studies, University of Leeds • Andrea Lagna, Lecturer, School of Business and Economics, Loughborough University • Timo Walter, Lecturer, Staatswissenschaftliche Fakultät, Universität Erfurt • Aurore Lalucq, Co-director, Veblen Institute • Paul Langley, Reader, Durham University • Jon Cloke, Research Associate, Loughborough University • Rodrigo Fernandez, Postdoc researcher at KU Leuven and associate researcher at SOMO • Philip G. Cerny, Professor Emeritus of Politics and Global Affairs, University of Manchester (UK) and Rutgers University (USA) • David Bassens, Assistant Professor of Economic Geography, Cosmopolis (Vrije Universiteit Brussel) • Nina Haerter, PhD candidate, Vrije Universiteit Brussel • Reijer Hendrikse, postdoctoral researcher, Vrije Universiteit Brussels • Joscha Wullweber, University of Kassel • Jo Michell, Senior Lecturer, University of the West of England • Christine Oughton, Professor of Management Economics, SOAS, University of London • Victoria Chick, Emeritus Professor of Economics, UCL • Michiel van Meeteren, Postdoctoral Researcher, Vrije Universiteit Brussel • Daniel Detzer, Research Associate, Institute for International Political Economy, Berlin School of Economics and Law, Germany • Trevor Evans, Emeritus professor of economics, Berlin School of Economics and Law • Mary Robertson, Lecturer, University of Greenwich • Jérôme Creel, Associate professor of economics, ESCP Europe • Elisa van Waeyenbergen, Lecturer, SOAS University of London • Jesus Ferreiro, Associate Professor in Applied Economics, University of the Basque Country UPV/EHU, Spain • Roland Pérez, Emeritus Professor (Economics and Management Science) – Université Montpellier (France) • Laura Horn, Associate Professor, Department of Social Sciences and Business, Roskilde University, Denmark • Thomas Lagoarde-Segot, KEDGE Business School and LEST, Aix-Marseille Université, France • Maëlys Waiengnier, Doctoral Researcher, Vrije Universiteit Brussel & Université Libre de Bruxelles • Nuno Teles, Researcher, Centre for Social Studies, University of Coimbra, Portugal • Kobil Ruziev, Senior Lecturer, UWE Bristol • Janusz J. Tomidajewicz, Emeritus Professor of Poznan University of Economics • Karen Maas, Program Director CSR Executive Program, Erasmus Universiteit Rotterdam • Eric Clark, Professor of Human Geography, Lund University • Sérgio Lagoa, Assistant Professor of Economics, Instituto Universitário de Lisboa (ISCTE) • Wlodzimierz Dymarski, Researcher in Economic Policy and Financialisation, Poznan University of Economics and Business, Poland • Yannis Dafermos, Senior Lecturer, UWE Bristol

Appello sulle cartolarizzazioni europee‏

Il 23 maggio 2016 è stato pubblicato in rete un appello di studiosi ed economisti di tutta Europa e inviato alla “Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento Europeo”. Nell’appello i firmatari manifestano tutta la loro preoccupazione per le scelte che la Commissione Europea si appresta a compiere in materia di cartolarizzazione dei crediti. La Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo riguarda la creazione di un mercato per le cartolarizzazioni Semplici, Trasparenti e Standardizzate, cosiddette STS. I firmatari mettono l’accento sul fatto che tale Proposta possa diventare “un lungo viaggio di deregolamentazione finanziaria”. E’ noto il peso che le cartolarizzazioni hanno avuto nella crisi finanziaria del 2007-2008, così come è noto il peso che il mercato deregolamentato dei derivati OTC ha avuto, più che nella protezione dal rischio, nell’aumento della leva finanziaria e nel contagio sistemico. E’ comunque utile sottolineare come i volumi delle cartolarizzazioni al primo semestre 2008 fossero assai diversi fra USA ed Europa: lo stock in essere delle emissioni lorde a quella data era rispettivamente di 1.426 mld euro per l’Europa e 6.622 per gli USA. Ciò significa e sta a significare che il processo di disintermediazione bancaria, che trova ancora in Europa un terreno poco fertile, per effetto della nuova norma può velocemente transitare al nuovo sistema in cui gli enti creditizi in realtà diventano gli intermediari fra economia reale e mercati finanziari, fra mercati finanziari e cittadini. Dopo otto anni dallo scoppio della crisi finanziaria più profonda e duratura dalla seconda guerra mondiale dovremo tutti prendere atto, in realtà, che l’idea di una filiera risparmio-investimento-economia reale, che passa per i mercati finanziari, non funziona ed anzi può diventare foriera di nuovi traumi. “L’attuale piano lascia presagire una ripetizione post-crisi dello scenario pre-crisi. Più crescita finanziarizzata invece di vera crescita.” Così si esprimono gli estensori del documento. E così concludono: “Quello che è in gioco è niente di meno che il futuro dell’Europa. Sarà un futuro di stabilità finanziaria anche a costo di un po’ di redditività delle banche? O sarà invece un futuro di alti profitti per le banche, al costo di consistenti rischi per i contribuenti?” L’appello degli economisti si concentra su alcuni punti critici. Benché si proclami l’obiettivo di dare ossigeno alle PMI, tramite le cartolarizzazioni STS, non è affatto chiaro come ciò possa avvenire ed anzi andrebbe verificata la possibilità di nuove bolle immobiliari. Nel testo della Proposta di Regolamentazione si fa, infatti, esplicito riferimento a cartolarizzazioni con sottostanti mutui immobiliari, leasing e carte di credito. Nella Proposta l’allentamento della “Retention Rule” (ovvero la ritenzione del rischio nel portafoglio delle banche) al 5% appare come un modo per semplificare ma, in realtà, ciò significa che le banche possono scegliere fra le tranche che vogliono (senior, mezzanine, equity) per soddisfare i requisiti di ritenzione del rischio. E’ noto fin dagli albori della crisi che le banche, trattenendo la tranche equity soddisfacevano il requisito, ma è altrettanto noto che il valore della tranche equity è praticamente nullo! Altri punti che meriterebbero di essere trattati sono ovviamente le cartolarizzazioni sintetiche e i CDO, ma gli ampi rimandi che ci sono su questi punti impediscono di capire le intenzioni del legislatore. Su una questione c’è tuttavia chiarezza: verranno attivate modifiche all’EMIR (Regolamento europeo in materia di infrastrutture finanziarie) in modo tale da esentare i contratti derivati, conclusi dal veicolo dell’obbligazione, dagli obblighi previsti da tale Regolamento, ovvero l’esenzione dall’obbligo di compensazione. Ciò significa una vera e propria deregolamentazione nel mercato dei derivati, dai CDS agli swap, agli interest rate swap: abbassando i requisiti sui rischi degli strumenti finanziari viene alzato l’utilizzo degli strumenti derivati in protezione. Tutto questo non avrà solo un impatto di sistema, ma farà crescere i costi dell’insieme delle operazioni da cui potranno discendere nuovi rischi e nuove distruttività. Una cosa balza agli occhi: dopo quasi 10 anni dallo scoppio della crisi non esiste ancora un elenco delle cartolarizzazioni vietate o consentite: si può ancora cartolarizzare di tutto. L’insieme di queste valutazioni mi spinge a sottoscrivere l’appello degli studiosi e degli economisti europei e a promuovere anche in Italia l’adesione a questa iniziativa. Giorgio Bellucci autore del saggio Critica del monetarismo e dei derivati di credito EDIESSE 2015

giovedì 28 aprile 2016

presentazione venerdì 13 maggio, Palazzo Panciatichi , Firenze

Il Presidente del Consiglio regionale della Toscana Eugenio Giani è lieto di invitare la S.V. alla presentazione del volume "Critica del monetarismo e dei derivati di credito" di Giorgio Bellucci venerdì 13 maggio 2016, ore 17.00 Sala Gigli, Palazzo Panciatichi via Cavour 4, Firenze Saranno presenti: Eugenio Giani Presidente del Consiglio regionale della Toscana Lucia De Robertis Vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana Interventi Don Leonardo Salutati Docente di Teologia morale della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale Filippo Zatti Prof. Associato di Diritto dell’Economia, Università di Firenze Giorgio Bellucci Autore del volume Danilo Barbi Segretario nazionale CGIL Coordina Dalida Angelini Segretario CGIL regionale

martedì 26 aprile 2016

This crisis has neither mother nor father

The bubbles and the subsequent wealth effects which are their outcome - explains the economist - should be seen as the financial answer to both a growing inequality and a drop in consumption. A view which today shows its historical limitations. "Seven years after the onset of the crisis it is time to realize that the sequence of savings - investment - real economy flowing through the financial markets is not working". In times like these showing a considerable instability in the world's financial markets we have asked the economist Giorgio Bellucci, author of the book Critica del monetarismo e dei derivati di credito (published by Ediesse), to give us his views on the new financial options starting from the "big bubble" of 1929 up to the "Internet bubble" and to sub-prime loans. "The term of comparison generally used to describe what is seen by all as the worst post-war crisis -Bellucci remarks - is that of the great depression of 1929, which in the '30s totally upset all the given theories and heightened the differences of opinions expressed by the economists. Today nothing of this sort occurs. This crisis has neither mother nor father and there is no self-criticism but rather there is a general leveling out which appears to dominate both the interpretations of the crisis and the measures that have been taken." According to Bellucci, the current view is that the breakdown of the system was caused by the insolvency of sub-prime loans and, based on this interpretation of the crisis, measures were taken to counter the depression. Governments and central banks based their countermeasures for monetary policy on "monetary contraction". "But to link the start of the crisis to the insolvency of borrowers has meant - according to the author of Critica del monetarismo e dei derivati di credito -linking the crisis to the trends of taxation by the Federal Reserve and to the lack of controls concerning the credit capabilities of debtors". In order to give a clear picture of the situation Bellucci indicates some figures: interest rates in the United States rose from 1% in October 2003 to 5.25% in 2006; the Dow Jones index rose from 7,600 points in October 2002 to 14,000 in 2007; the volume of Credit default swaps (Cds) rose from 3,500 billion in 2003 to 58,000 billion in 2008; the notional amount of credit derivatives (on a global scale) rose from 278,000 billion in 2003 to 980,000 billion in 2008. The fact must not be overlooked that again in the United States, the securitization of loans given out in 2001 in the order of 62% rose in 2006 to 77%. This shows, says Bellucci, that securitization rises more than proportionally on loans and on rising rates just as Wall Street doubles on rising rates. "All of this - says the economist - goes on while at the same time the volume of Cds and credit derivatives goes out of control. The corollary lies in the probabilistic notion of the dispersion of risk. The bubbles cannot be foreseen but their bursting can be contained as was the case with the famous 'Greenspan put ' in the 90s. In such a dramatic plummeting of the stock markets Credit default swaps should be blocked and non standardized derivatives should be stopped for at least six months in Italy and in Europe". Today, according to Bellucci, we face a scene of total uncertainty for commentators and economists. To a view of the crisis as a "monetary contraction" there followed that of the monetary helicopter as suggested by Milton Friedman in his works and applied by the non conventional policies of the Fed and the ECB. "Rising inequality helps to explain the nature of the continuous stagnation of growth during the ongoing of the crisis: in the United States, over the last 30 years, 16% of the income of 95% of the population has passed to the remaining 5%; more or less the same thing as has occurred in Europe". The divide between income and consumption has been met by increasing indebtedness. "The financial bubbles, and the resulting wealth effects - concludes Bellucci - should be seen as the financial response to the rise in inequality and the drop in consumption. After seven years this response has by now shown its historical limitations and furthermore, it is a foreru

domenica 27 marzo 2016

Bellucci: «Diese Krise hat weder Vater noch Mutter»

“ Finanzblasen, und das daraus folgende Reichtum – erklärt der Ökonom – sollen als finanzielle Antwort zu den wachsenden Unterschieden und zur. “Sieben Jahren nach Ausbruch der Finanzkrise müssen wir zur Kenntnis nehmen, dass die Idee der Kette: Ersparnis-Investierung-Realwirtschaft, die durch die Finanzmärkte geht, nicht mehr funktioniert”. In diesen Tagen voller großen Spannung fuer die globalen Finanzmärkte haben wir Giorgio Bellucci, Ökonom, Autor des Buches “Kritik des Monetarismus und der Kreditderivate” (herausgegeben von Ediesse), nach Überlegungen über die neuen derivativen Finanzinstrumenten gefragt, angefangen von der “großen Finanzblase” im Jahr 1929 bis hin zu der “Internetblase” und zur jenen der Subprime-Darlehen. “Diese Krise, welche alle inzwischen als die verheerendste seit der Nachkriegszeit übereinstimmig bezeichnen”, meint Bellucci, “ wird am häufigsten mit der großen Depression von 1929 verglichen. Diese erschütterte regelrecht die damals herrschenden Theorien und verschärfte die Kontraste unter den Ökonomen. Heute findet nichts dergleichen statt. Diese Krise hat weder Vater noch Mutter, es gibt keine Selbstkritik, sondern eine generelle Abflachung herrscht sowohl bei der Interpretation der Krise, als auch bei den unternommenen Maßnahmen”. Dass die Insolvenz der Subprime-Darlehen das System gesprengt hat, ist für Bellucci die am meisten verbreitete Idee, und darauf basierend ist die Politik zur Bekämpfung der Depression eingestellt worden. Das ist der Hintergrund der Antwort der Regierungen und der Zentralbanken, deren Interpretation mit der monetaristischen Idee der “wirtschaftlichen Flaute” verbunden ist. “Aber die Verbindung des Krisenausbruches mit den Insolvenzen der Entleiher hat bedeutet, dass man die Krise zum Verlauf der Zinssätze der Federal Reserve und zur mangelhaften Überwachung über die kreditwürde der Debitoren zurückführt”, bemerkt der Autor von “Kritik des Monetarismus und der Kreditderivate“. Um die Lage besser darzustellen, erwähnt Bellucci einige Daten: die Zinssätze in USA sind von 1 % im Oktober 2003 bis 5,25 % im Jahr 2006 gestiegen; der Dow Jones Index von 7.600 Punkte im Oktober 2001 bis 14.000 im Jahr 2007; die Volumen der Credit default swap (Cds) von 3.500 Milliarden im Jahr 2003 bis zu 58.00 Milliarden im Jahr 2008; der fiktive Zinssatz der Kreditderivate (auf globaler Basis) ist von 278.000 Milliarden im Jahr 2003 zu 980.000 Milliarden gestiegen. Es darf nicht vergessen werden, dass, immer in den Vereinigten Staaten, die Verbriefungen von gewährten Darlehen von 62 % im Jahr 2001 77 % im Jahr 2006 erreicht haben. Das heißt, erklärt Bellucci, dass die Verbriefungen von gewährten Darlehen und steigenden Zinssätzen mehr als proportional gewachsen sind, sowie Wall Street sich auf steigenden Zinssätzen verdoppelt hat. „All dies geschieht“,– fährt er fort – „wahrend gleichzeitig die Volumen der Cds und der Kreditderivaten explodieren. Die logische Folge besteht in der probabilistischen Idee der Risikostreuung. Finanzblasen kann man nicht vorbeugen. Man kann nur ihren Ausbruch eindämmen, sowie es in der neunziger Jahren mit dem 'Greenspan put' geschah. Bei diesem schwerwiegenden Börsenabsturz müsste man den Credit default swap abblocken und die nicht standardisierten Kredite für mindestens sechs Monate in Italien und Europa einfrieren”. Nach Meinung von Bellucci befinden wir uns heute einer offenen Landschaft gegenüber, in der die Ungewissheit der Kommentatoren und Ökonomen wirklich total ist. Zur Deutung der Krise als “wirtschaftlichen Flaute” hat man mit dem in den Werken von Milton Friedman aufgeführten und mit der unkonventionellen Politik der FDE und EZB angewandten Geldhubschrauber reagiert. “ Das Wachsen der Ungleichheiten trägt dazu bei, die stetig stagnierende Natur des Aufschwunges bei fortsetzender Krise zu erklären: in den Vereinigten Staaten, in den letzten 30 Jahren, wurden 16 % der Einnahmen von 95 % der Bevölkerung dem übrigen 5 % überlassen; mehr oder weniger ist dasselbe in Europa passiert. Die Kluft zwischen Einnahmen und Ausgaben ist durch wachsende Verschuldungen zugedeckt worden. “Finanzblasen, und das daraus folgende Reichtum – schließt Bellucci ab – sollen als finanzielle Antwort zu den wachsenden Unterschieden und zur Verbrauchsabnahme gesehen werden. Nach sieben Jahren hat diese Antwort inzwischen ihre historischen Grenzen gezeigt und ist eher Vorbote von neuen Traumen“.

giovedì 18 febbraio 2016

Bellucci: «Questa crisi non ha né padre né madre»

Le bolle, e l’effetto ricchezza che ne deriva – spiega l’economista –, vanno interpretate come la risposta finanziaria all’aumento delle disuguaglianze e all’abbassamento dei consumi”. Una ricetta che mostra ormai i propri limiti storici
“Dopo sette anni dallo scoppio della crisi dobbiamo prendere atto che l’idea di una filiera risparmio-investimento-economia reale che passa per i mercati finanziari non funziona”. In queste giornate di grande tensione per i mercati finanziari globali, abbiamo chiesto a Giorgio Bellucci, economista, autore del libro “Critica del monetarismo e dei derivati di credito” (edito da Ediesse), qualche riflessione sui nuovi strumenti di finanza derivata, partendo dalla “grande bolla” del 1929 per arrivare alla “bolla di Internet” e a quella dei mutui sub-prime. “Il termine di paragone più spesso utilizzato per quella che ormai sono tutti concordi nel definire la più devastante crisi dal dopoguerra – osserva Bellucci – è la grande depressione del 1929, che negli anni trenta scatenò un vero e proprio sconvolgimento nelle teorie allora dominanti e inasprì i contrasti fra gli economisti. Oggi nulla di questo accade. Questa crisi non ha né padre, né madre, non ci sono autocritiche, ma un generale appiattimento domina sia l’interpretazione della crisi, sia gli interventi che sono stati intrapresi”. Per Bellucci, l’idea largamente dominante è che siano state le insolvenze dei mutui sub-prime a far scoppiare il sistema e sulla base di questa lettura sono state impostate le politiche di contrasto alla depressione. Lo sfondo su cui si muove la risposta di governi e banche centrali è l’interpretazione legata all’idea monetarista della “contrazione monetaria”. “Ma legare lo scoppio della crisi alle insolvenze dei mutuatari ha significato – sottolinea l’autore di “Critica del monetarismo e dei derivati di credito” – ricondurre la crisi agli andamenti dei tassi della Federal Riserve e alla scarsa vigilanza sul merito di credito dei debitori”. Per fotografare la situazione, Bellucci cita alcuni dati: i tassi di interesse degli Stati Uniti dall’1% dell’ottobre 2003 sono saliti al 5,25% del 2006; l’indice Dow Jones da 7.600 punti dell’ottobre 2002 è arrivato a 14.000 nel 2007; i volumi dei Credit default swap (Cds) dai 3.500 miliardi del 2003 sono arrivati a 58.000 miliardi nel 2008; il nozionale dei derivati di credito (a livello globale) dai 278.000 miliardi del 2003 è passato ai 980.000 miliardi del 2008. Senza dimenticare che, sempre negli Usa, le cartolarizzazioni sui mutui erogati dal 62% del 2001 hanno raggiunto il 77% nel 2006. Ciò significa, spiega ancora Bellucci, che le cartolarizzazioni crescono più che proporzionalmente sui mutui erogati e sui tassi crescenti, così come Wall Street raddoppia su tassi crescenti. “Tutto questo – prosegue l’economista – mentre, contestualmente, esplodono i volumi dei Cds e dei derivati di credito. Il corollario sta nell’idea probabilistica della dispersione del rischio. Le bolle non si possono prevenire, si può solo contenere il loro scoppio, così come avvenne con la famosa 'Greenspan put' negli anni novanta.
In questo gravissimo crollo delle borse occorrerebbe bloccare i Credit default swap e congelare i derivati non standardizzati per almeno sei mesi in Italia e in Europa”. Oggi abbiamo di fronte, a giudizio di Bellucci, uno scenario aperto, in cui l’incertezza dei commentatori e degli economisti è davvero totale. Alla lettura della crisi come “contrazione monetaria” si è risposto con l’elicottero monetario, evocato da Milton Friedman nei suoi scritti e applicato con le politiche non convenzionali della Fed e della Bce. “L’aumento delle disuguaglianze aiuta a spiegare la natura costantemente stagnante della ripresa nel prosieguo della crisi: negli Stati Uniti, negli ultimi 30 anni, il 16% del reddito del 95% della popolazione è stato ceduto al restante 5%; più o meno la stessa cosa è avvenuta in Europa". La frattura fra redditi e consumi è stata colmata attraverso l’aumento dell’indebitamento. “Le bolle finanziarie, e l’effetto ricchezza che ne deriva – conclude Bellucci –, vanno interpretate come la risposta finanziaria all’aumento delle disuguaglianze e all’abbassamento dei consumi. Dopo sette anni questa risposta ha ormai mostrato i propri limiti storici e, anzi, è foriera di nuovi traumi”.